Innanzitutto è importante chiarire perché i fermenti vengono chiamati “lattici” poichè questa denominazione spesso dà adito ad interpretazioni del tutto fuorvianti.
Si chiamano “fermenti lattici” non perché vengano dalla fermentazione del latte o dallo yogurt, come molte persone tendono a pensare.
Il latte con i fermenti lattici non c’entra niente!
Molti diversi microrganismi batterici presenti in natura, vengono chiamati così perché il principale prodotto di degradazione nella loro attività metabolica è l’acido lattico ovvero un acido che si ricava dalla fermentazione degli zuccheri di diversa origine. Quindi i fermenti lattici sono genericamente dei batteri produttori di acido lattico.
All’interno di questa variegata famiglia di batteri, quelli più noti e più comunemente utilizzati dall’uomo da migliaia di anni, sono quelli che si trovano nel latte animale e nel formaggio e che, scomponendo e metabolizzando il lattosio in essi contenuto, consentono la produzione di prodotti coagulati come yogurt e latte fermentato. Ed è probabilmente da questo utilizzo che nasce il fraintendimento del concetto di fermento lattico che, come detto, al di là del fatto che si trovi nel latte e si attivi alla scomposizione del lattosio, è di fatto semplicemente un produttore di acido lattico.
Perchè l’acido lattico è uno dei “veleni” che i batteri “buoni” utilizzano per creare un ambiente sfavorevole ai patogeni (batteri nemici dell’uomo) che appunto amano vivere, moltiplicarsi e lavorare in un ambiente molto poco acido (pH 6,5) fino ad uno leggermente basico (con pH tra 7,5 e 7,8). Il che consente di intuire che è grazie a questo servizio, gentilmente offerto dai batteri lattici, che ad esempio nell’antichità il latte poteva essere conservato e consumato come yogurt sottraendosi all’azione di deperimento potenzialmente operabile dai batteri patogeni.
Così, nelle tradizioni alimentari di culture diverse, molti sono gli alimenti che si sono resi conservabili e gradevolmente palatabili, pur nel gusto acido, grazie all’azione di diversi ceppi di batteri lattici.
Si pensi ad esempio, oltre allo yogurt, al kefir, al miso, ai crauti, alle prugne umeboshi, alla birra, alle verdure lattofermentate, al tempeh etc. In pratica l’uomo per conservare meglio i cibi ha imparato a fermentare quasi tutto.
E tutte queste fermentazioni sono dovute a specie e ceppi diversi di batteri, di derivazione essenzialmente non umana, a volte simili ma non identici a quelli umani, capaci di apportare un certo beneficio ai nostri intestini in termini di varietà e diversità della flora batterica, ma tendenzialmente caratterizzati da una presenza e da un’azione transitoria infatti si chiamano transienti cioè di passaggio ovvero incapaci di attecchire definitivamente alle mucose e quindi inadatti a stabilirsi e riprodursi andando a popolare in maniera stabile e funzionale l’habitat interno dell’uomo.
Alla luce dell’enorme rivoluzione scientifica in atto ormai da alcuni anni in materia di microrganismi che abitano il nostro intestino e che, ormai è fatto scientifico inconfutabile, sono in grado di orientare la nostra vita verso lo stato di salute o di malattia, per probiotici si intendono quelle classi di batteri presenti in centinaia di specie all’interno del nostro apparato gastroenterico. Più precisamente i probiotici sono dei microrganismi non patogeni, di origine umana, che una volta ingeriti vanno a colonizzare i diversi tratti del nostro intestino esercitando un’azione positiva in termini di ripristino dell’intero ecosistema interno e di tutte le sue funzioni.
I probiotici pertanto, per poter essere definiti tali, devono essere costituiti da:
Il che non è come dirlo!
Perchè il mercato dei probiotici è sempre più ampio e variegato e trovare la giusta formula tra le centinaia disponibili richiede una certa capacità di districarsi in questa complessità.
Quali aspetti devono sempre essere presi in considerazione?
Ogni ceppo batterico ha una sua fisiologia e una sua biochimica molto specifica e questo, da solo, può spiegare la diversità dei risultati che spesso si ottengono o più
frequentemente non si ottengono. Ci sono ad esempio alcuni ceppi del noto Lattobacillo Achidophilus che non sono in grado di raggiungere il colon e influenzare l’attività della microflora e che quindi, pur appartenendo alla famiglia degli acidofili, non producono i risultati attesi. E quindi è inutile assumerli.
Quando si parla di probiotici per la supplementazione umana, è necessario che ogni ceppo sia registrato presso un ente cosiddetto “di collezione” in modo che si sappia esattamente chi è e cosa fa. E che sia identificato e codificato, quindi chiamato per nome cognome e codice identificativo appunto, attraverso sofisticate tecniche di sequenziamento genomico.
E molte di queste informazioni, anche se non tutte, si dovrebbero trovare sull’etichetta del prodotto in modo da garantire non solo il più alto profilo di efficacia del ceppo o della miscela multiceppo contenuta nella capsula del prodotto, ma anche la massima sicurezza di utilizzo.
Non sempre un ceppo batterico che mostra efficacia in vitro è capace di stabilire una colonia fiorente nell’intestino umano. Per essere considerato affidabile, il prodotto deve essere in grado di aumentare il livello intestinale dei microrganismi somministrati, in modo che i batteri probiotici possano aderire correttamente alla mucosa intestinale, colonizzandola per riprodursi efficacemente. Peraltro solo somministrando quest’ultimi in adeguate quantità è possibile ottenere un effetto benefico costante e duraturo.
La vita di questi microrganismi spesso così preziosi per noi, è estremamente precaria e vulnerabile. Basti pensare che a volte anche l’assunzione con acqua molto ricca di cloro può precludere la sopravvivenza di molti di loro. Non è ovvio pertanto che dalla capsula in cui sono stati raccolti per essere introdotti nel nostro intestino arrivino vivi e vegeti a destinazione, tenendo conto anche della permanenza sullo scaffale, della conservazione domestica e delle modalità di assunzione orale. In termini generali, è necessario che il prodotto sia confezionato con ceppi e con tecniche che consentano a queste potenziali forze alleate di attraversare indenni ambienti potenzialmente ostili e quindi nello specifico di resistere all’ambiente molto acido del tratto gastrointestinale. Non tutti i batteri possono infatti sopravvivere al passaggio nello stomaco (per via del basso pH) o nel duodeno (a causa della secrezione di sali biliari). Pertanto solo i ceppi più resistenti dovrebbero essere presi in considerazione per il consumo umano.
In conclusione, scegliere un prodotto di ricolonizzazione intestinale che sia efficace e sicuro, richiede la conoscenza e la valutazione di alcuni elementi che fanno realmente la differenza in termini di risultato finale. Parallelamente a questa supplementazione inoltre, sarà di fondamentale importanza adottare un’alimentazione corretta e consapevole ricordando che i nostri batteri si nutrono ogni giorno di ciò che ingeriamo noi e che quindi una dieta ricca ad esempio di fibre e di vegetali rappresenta il primo fattore, necessario seppur non sufficiente, per nutrire adeguatamente un microbiota intestinale equilibrato e funzionalmente efficiente.
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