Può un sano pranzetto influenzare la rapidità di pensiero, ottimizzare la memorizzazione, ridurre il livello d’ansia e migliorare l’attenzione prima di un momento o una prova importante? Se qualcuno facesse spallucce e avesse ancora dei dubbi in merito, è sufficiente, per cominciare, che provi a ricordare quella sensazione di stanchezza, pigrizia e mente offuscata che, fatto di dominio comune, sempre segue le ore successive ad una discreta scorpacciata di hamburger e patatine fritte.
Fino a che punto un’alimentazione squilibrata alteri mente e umore, non solo in termini circostanziati di singola prestazione ma anche e soprattutto nel medio e lungo periodo laddove si adotti un modello alimentare sregolato, lo hanno ormai chiaramente dimostrato moltissimi studi condotti negli ultimi vent’anni e oggi ancora in vorticoso aumento.
E non è certo necessario ingozzarsi continuativamente di junk food e grassi trans per sentirsi più tristi, stanchi e depressi. Per molto meno, ovvero per qualche innocente cucchiaino di zucchero nel caffè o per la classica abitudine di fare colazione al bar o per quella passione incontenibile di pane e focaccia, oggi sappiamo bene che il nostro cervello viene ad essere regolarmente inondato da molecole di segnalazione infiammatoria che determinano, tra le altre cose, un aumento delle cellule cerebrali della microglia a loro volta deputate a mantenere attivi e propagare i fenomeni infiammatori locali in primis ma non solo, a livello dell’ipotalamo e dell’ippocampo, sede quest’ultimo dei ricordi e della memorizzazione.
Quindi, tanto per cominciare, cibo pro-infiammatorio significa per via direttissima infiammazione sistemica e persistente di basso grado che, a sua volta, comporta alterazione della struttura e dei processi neuronali localizzati nelle diverse aree del cervello.
Ma questo è solo l’inizio. Negli ultimi anni si è andata avvalorando in maniera sempre più articolata in ambito scientifico la connessione tra infiammazione del cervello, difficoltà di concentrazione, depressione e disturbi dell’umore, laddove precedentemente era sempre prevalsa la tesi secondo cui certi disturbi fossero legati unicamente a una disfunzione chimica riconducibile a bassi livelli di serotonina e dopamina, noti per essere gli ormoni del benessere. Praticamente gli studi scientifici hanno scoperto pian piano quanto
Eppure a livello di prassi clinica la relazione tra cibo, umore e cervello è ancora ampiamente sottovalutata.
Quale medico di fronte ad un paziente che lamenti ansia, sbalzi di umore, cronico affaticamento mentale o sensazioni depressive indagherebbe mai sul modello alimentare adottato o semplicemente consiglierebbe la visita da un nutrizionista?
La sensazione che serpeggia ancora nel mondo medico è che sì, forse qualcosina c’entra anche l’alimentazione ma di sicuro il problema non è lì e il passo verso la prescrizione del farmaco è, a dir poco, brevissimo.
Come minimo consideriamo che il cervello, al pari del cuore, dell’intestino o del fegato è un organo che funziona sulla base di impulsi elettrici e reazioni chimiche grazie alle sostanze nutritive che riceve e dalle quali trae energia e molecole per formare neurotrasmettitori. Non fosse solo che per questo, è evidentemente importante adottare un modello alimentare che preveda la regolare assunzione del ventaglio completo di nutrienti e cioè alimenti ricchi di aminoacidi, vitamine e carboidrati a lento rilascio, dicasi pertanto frutta fresca, verdure, legumi, cereali integrali, pesce, uova, carne, frutta secca e formaggi con moderazione. Guarda caso lo stesso modello alimentare che consente di sviluppare muscoli tonici e assottigliare i depositi di grasso superfluo nel corpo.
A proposito di grassi però, va ricordato che il cervello è l’organo in assoluto più ricco di grassi, secondo solo al tessuto adiposo. E nel cervello i grassi ci devono stare, eccome!
Un ruolo imprescindibile nell’efficiente funzionalità cerebrale è svolto dagli acidi grassi polinsaturi, in particolare quelli della serie Omega-3. Questi grassi rappresentano una componente fondamentale delle membrane cellulari dei neuroni ed è proprio la loro equilibrata presenza che ne consente una migliore plasticità, permeabilità e quindi funzionalità. Poichè però l’organismo non è in grado di sintetizzarli da solo, tali nutrienti devono essere necessariamente introdotti con un’alimentazione consapevole e ragionata e cioè principalmente attraverso pesce grasso cotto il giusto, noci, semi e alghe.
Si tenga inoltre presente che moltissimi studi confermano, ormai da anni, l’effetto benefico e diretto degli acidi grassi omega-3 introdotti con l’alimentazione o con la supplementazione, su funzioni cerebrali quali il miglioramento della memoria, il miglioramento del declino cognitivo, la riduzione dell’ansia e dell’agitazione mentale fino ad arrivare anche al miglioramento di disturbi di taglio maniaco-depressivo e di bipolarismo.
Da ultimo, ma non meno importante, l’assunzione dei polinsaturi omega-3 rappresenta un’importante leva alimentare per deviare la produzione di sostanze infiammatorie prodotte a livello sistemico verso la formazione dei loro antagonisti ovvero citochine di segno ed azione antinfiammatoria capaci di contribuire all’interruzione del domino dell’infiammazione sistemica di basso grado, vero e proprio agente depressivo e di invecchiamento.
Oltre a quanto detto in precedenza, va aggiunto che l’infiammazione cronica di basso grado, ovvero quella costante produzione di molecole di segnalazione infiammatoria che attraverso un’alimentazione disattenta ed un errato stile di vita inonda continuamente il cervello, non solo rovina alcune strutture neuronali ma impatta anche su altri due aspetti cruciali dell’equilibrio interno.
Insomma, il classico diabolico circolo vizioso che si autoalimenta e crea solo danni di cui i più evidenti nel breve termine sono proprio la condizione di ansia, irritabilità, stanchezza, alterazione dell’umore, sensazione di scarsa capacità di concentrazione e ridotta lucidità mentale.
Che dentro alla nostra pancia ci sia un gran brulicare di vita non è certo più una novità. Sappiamo bene che i microbi residenti nel nostro intestino contribuiscono in maniera fondamentale alla digestione, alla naturale motilità intestinale, alla produzione di vitamine e di nutrienti vitali per la mucosa intestinale stessa, all’efficienza del sistema immunitario. Ma il loro ruolo e la loro azione non si esaurisce qui. Questi miliardi di ospiti silenziosi, secondo le più recenti scoperte tutt’ora in pieno fermento, sembrano influenzare il nostro stato emotivo e perfino la formazione dei ricordi. Questi microbi, la cui caleidoscopica compagine è strettamente influenzata da ciò che mangiamo, non solo sono tra i principali produttori di triptofano, aminoacido precursore della serotonina che tutti conoscono come “l’ormone della felicità”, ma inviano costantemente molecole di segnalazione alle cellule nervose dell’intestino e insieme ad esse comunicano con il cervello attraverso il nervo vago e attraverso vie di segnalazione diretta. Insomma, è come se ci fosse in ogni istante della nostra esistenza, un fittissimo e ininterrotto scambio di sms e messaggini whatsapp tra questi organismi unicellulari che abitano i nostri visceri e i neuroni di tutto il corpo.
E qualcuno osa ancora pensare che ciò che mangiamo abbia un ruolo puramente periferico sul nostro umore, la nostra capacità di far fronte allo stress e la nostra lucidità mentale?
Prendersi cura del proprio umore attraverso l’alimentazione richiede solo un po’ di conoscenza e una buona pratica protratta nel tempo. Che ciascuno poi tragga le proprie conclusioni in base all’esperienza. Come felice ricaduta ne beneficerà anche la linea e non sarà per niente sgradevole ritrovarsi un più lucidi, sereni e pure un po’ più snelli.